Statira, Venezia, Rossetti, 1742

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Luogo apparato per il trionfo di Artaserse che con Dario viene di lontano con numeroso seguito di popolo.
 
 ARTASERSE, DARIO, ARIARATE
 
 ARTASERSE
 Persi, abbiam vinto; il vacillante impero
 degli estinti ribelli
 più non paventa il temerario orgoglio.
 Opra del valor vostro
5è il mio trionfo e della mia grandezza
 voi siete il fato. Invitti duci e chiari,
 sono la mia difesa i vostri acciari.
 
 SCENA II
 
 STATIRA che esce furiosa e detti
 
 STATIRA
 Manca, Artaserse, manca
 al barbaro trionfo
10l’ornamento maggior. Fra tante spoglie
 di Ciro non additi
 la clamide squarciata! In mezzo a questa
 turba servil tu non ostenti il grande
 lacerato cadavere! Quel sangue
15fora pure il più degno
 trofeo del tuo furor! Su via s’esponga
 quell’esanime busto; in esso sazia
 l’odio crudel ma si conceda intanto
 d’una sposa infelice ai baci e al pianto.
 ARTASERSE
20Statira, alla reale
 spoglia di Ciro il nostro amor accese,
 qual doveasi al suo grado, illustre pira.
 Scopo del nostro sdegno
 Ciro non fu; fu il suo delitto; e s’egli,
25per desio di strappar dalle mie tempia
 la paterna corona,
 provocommi al cimento, io non dovea
 con atto di viltà tradir mia gloria.
 Pugnai forzato ed ottenei vittoria.
 STATIRA
30Vendicherà il suo fato
 il mio sdegno, o tiranno. Odami il grande
 genio di Ciro, al sangue d’Artaserse
 che sparse il tuo, mio sposo e re, feroce
 odio immortale io giuro.
35Tutto per vendicarti
 io tenterò quanto può mai l’acceso
 furor di donna offesa,
 quanto alle piaghe del tradito sposo
 deve il dolor d’una reina amante
40nel suo rigor, nell’amor suo costante.
 DARIO
 Delle corone a fronte
 un imbelle dolor freme negletto;
 signor, io reco il ciglio
 a cercar in Aspasia il mio diletto. (Parte)
 ARIARATE
45Gran padre e re, se l’amor tuo divise
 con Dario lo splendor del diadema,
 deh almeno a me concedi
 poter coll’idol mio viver felice!
 I promessi da te regi sponsali
50dell’illustre Statira
 chiede il mio amore ed il mio cor sospira.
 ARTASERSE
 Vanne, Ariarate; ora al suo cor di smalto
 già porta il mio comando il grande assalto.
 ARIARATE
 
    Asciuga su quegl’occhi
55le stille del suo pianto,
 di tua pietà sia vanto
 placar l’irato cor.
 
    Donata a me la vita
 così due volte avrai,
60così m’accerterai
 del tuo paterno amor.
 
 SCENA III
 
 ARTASERSE e STATIRA
 
 ARTASERSE
 Non alla vinta moglie
 dell’oppresso ribelle
 oggi favella il vincitor superbo.
65Alla vedova illustre
 del perduto germano
 il cognato amoroso ora qui parla.
 STATIRA
 Quando parla Artaserse
 parla sempre il tiranno e non lo ascolta
70di cognata col cuor donna nemica.
 ARTASERSE
 Pace, pace, o Statira;
 d’Ariarate, del mio
 secondo figlio, io t’offro
 i sublimi sponsali.
 STATIRA
                                     Egli nel padre
75punisca il fratricidio, indi la destra
 vendicatrice strignerò contenta.
 Non sperar ch’io l’accetti,
 se quel dolor che i sensi miei governa
 il figlio d’Artaserse in lui discerna.
 ARIARATE
80Statira, o d’Ariarate
 stendi la destra agl’imenei reali
 o ti prepara a quanto
 soffrir può farti un vincitore offeso.
 STATIRA
 E che osare può mai
85codesto offeso vincitor, di cui
 non possa trionfar la mia fortezza!
 ARTASERSE
 Ha la Persia catene.
 STATIRA
 Fa’ che giungano al cor, s’ho da temerle.
 ARTASERSE
 Dimani e nulla più, dunque, t’assegno
90a cangiar core; se pietà ricusi,
 teco il barbaro nome
 userò di tiran che tu mi dai.
 Vedremo allor se l’uso ancora io serbo
 di trionfar sovra d’un cuor superbo. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 STATIRA sola
 
 STATIRA
95Mio dolor, mia virtù, voi favellaste
 a fronte d’Artaserse
 magnanimi, feroci e generosi
 ma perché poi codardi or che siam soli
 a una passion cedete,
100ingiuriosa a voi stessi, a me tiranna!
 Ah sì, quell’Ariarate
 ch’io rifiutai del re nemico in faccia,
 quegli è l’idol mio. L’odio m’accende
 ma l’amor mi disarma. Abborro il sangue
105del tiranno Artaserse e adoro il volto
 del mio caro Ariarate; oh dei! Divisa
 fra due pensier quest’alma,
 ora l’odio, or l’amor lascia e ripiglia,
 che risolvo? Che fo? Chi mi consiglia?
 
110   Son amante e son nemica,
 odio ed amo, sdegno e bramo;
 per pietade alcun mi dica
 che far deggio, oh dio! nol so.
 
    Due nemici ho nel mio petto,
115fier dolore, crudo amore
 ma fra l’uno e l’altro affetto
 disperata io morirò.
 
 SCENA V
 
 ORONTE e TIMAGENE
 
 TIMAGENE
 Signor, tu in Artassata?
 Il cognato di Ciro, Oronte, in corte
120del nemico Artaserse!
 ORONTE
 Ignoto in Artassata,
 Timagene, è il mio volto; ed Artaserse
 discoperto dall’elmo unqua nol vide.
 Custodisci l’arcano
125di mia venuta, alla real germana
 solo l’affida e mi fa scorta ad essa.
 TIMAGENE
 A Statira men vado
 col grande annunzio, or tu da saggio intanto
 la gloria tua coll’amor tuo misura
130e a cui tu debba il tuo gran cuor matura.
 
    Non vale il cuor d’un re
 bellezza che non è
 che un fiore o un lampo.
 
    Lampo che tosto fugge,
135fiore che si distrugge,
 dell’occhio inganno,
 efimera del campo.
 
 SCENA VI
 
 ORONTE, poi ASPASIA con DARIO
 
 ORONTE
 Ah qual mi giugne a folgorar sul guardo
 adorabile luce!
140Aspasia io non m’inganno, Aspasia è questa.
 Ma chi è quel che la segue? Inosservato
 osserverò. Guidommi a tempo il fato. (Si ritira in disparte)
 DARIO
 Rigor inopportuno, o bella Aspasia,
 senza lode si ostenta.
145Già disarma Artaserse
 la tua fierezza; e ti trarrà al mio letto,
 quando il mio non ti basti, il suo comando.
 ASPASIA
 La vittoria, che diede ad Artaserse
 ragion sul mio servaggio,
150non porta il mio servaggio insino al core.
 ORONTE
 Ahimè respiro. (A parte)
 DARIO
                                Sai pur che in Artassata
 col padre io regno.
 ORONTE
                                     È Dario questi?
 ASPASIA
                                                                    Sollo;
 ma il poter dello scettro non si estende
 sovra gli affetti altrui.
 ORONTE
155Bella costanza! (A parte)
 DARIO
                               In onta
 a cotesta tua fé fia ch’io ti vegga
 sposa fra le mie braccia, ad umiliarti
 valerà la mia forza. (Vuol prenderla per la mano, in questo vien Artaserse)
 ASPASIA
                                       Indietro.
 
 SCENA VII
 
 ARTASERSE e detti
 
 ASPASIA
                                                          Ah sire,
 la tua pietà, la tua giustizia invoco
160contro la rea violenza
 d’un amante impudico.
 DARIO
                                              Ella è mia sposa.
 ARTASERSE
 Allontanati, Dario.
 DARIO
                                     (Il mio sospetto
 cresce per tal comando). Aspasia, io scopro
 qual sarà il mio destin. Ma forse, ingrata,
165ti pentirai d’un cambio
 che mal conosci ancora. Io non m’impegno
 gl’impeti raffrenar del dolor mio.
 Anch’io t’adoro e son regnante anch’io.
 
    Sovengati che ingrata (Ad Aspasia)
170tu fosti ad un regnante,
 che del mio cor amante
 negasti aver pietà.
 
    Perché se la spietata (Ad Artaserse)
 tradì gli affetti miei,
175perché difendi in lei
 la nera crudeltà?
 
 SCENA VIII
 
 ASPASIA, ARTASERSE ed ORONTE in disparte
 
 ASPASIA
 Vagliami in mia difesa
 contro l’amor del temerario figlio
 quella del cauto padre. Ama sì poco
180dunque Artaserse? Un seno
 all’onor del suo talamo già scelto
 languido ei cede agl’imenei d’un figlio?
 ORONTE
 Ahi misero, che sento? (A parte)
 ASPASIA
 Tua sposa mi dicesti;
185tua sposa io sono.
 ORONTE
                                   Ah infida! (A parte)
 ARTASERSE
 Aspasia, quant’io t’ami
 noto è al tuo cor. Tu degli affetti miei
 sai che l’arbitra sei...
 ORONTE
                                         Questo si tronchi
 tormentoso congresso.
190Signor, di molli affetti
 or non è tempo. Oronte
 raccolte le disperse
 genti rubelle...
 ARTASERSE
                              E che? Vive il superbo?
 ORONTE
 Vive e seco guidando
195d’arabi un fiero stuolo
 per vendicar l’ombra di Ciro estinto,
 già la Persia circonda
 e di sangue e di foco i campi inonda.
 ASPASIA
 Ahimè qual voce! Ah qual sembiante! Ah questo
200è il mio diletto Oronte! E che fia mai? (A parte)
 ARTASERSE
 E chi sei tu che rechi
 l’annunzio innaspettato.
 ORONTE
                                               Un tuo vassallo,
 Artabano è il mio nome.
 ASPASIA
                                               Il ciel secondi
 la cauta frode. (A parte)
 ARTASERSE
                              E donde
205tanto sapesti?
 ORONTE
                             Io stesso
 vidi il campo de’ brandi e delle faci.
 Udii le trombe e ravisai le insegne.
 ASPASIA
 Il torbido che sveglia
 quel sembiante adorato entro al mio core,
210se mi balza sul volto,
 può il segreto tradir. Meglio è ch’io parta. (A parte)
 ARTASERSE
 Dove Aspasia, mio bene?
 ASPASIA
                                                 I voti io reco
 per esser tua ad amore. Io parlo teco. (Piano ad Oronte, finge parlar ad Artaserse e parla ad Oronte)
 
    Caro, quest’occhi mira
215e di’ se son più quelli
 astri d’amor gemelli
 che piacquero al tuo cor.
 
    Solo per te sospira
 fida quest’alma amante,
220impresso il tuo sembiante
 ho nel mio seno ancor.
 
 SCENA IX
 
 ARTASERSE ed ORONTE
 
 ARTASERSE
 Chiami le furie stesse
 sin dall’estremo abisso
 col suo furor l’arabo vile in lega,
225tanti saran della vittoria nostra
 lauri novelli al crine.
 Miei fasti accresceran le sue rovine.
 ORONTE
 Oronte non conosci; io so per fama
 il valor del suo braccio; egli è il più forte
230guerrier ch’abbia prodotto
 per sua gloria la Scitia, egli a suo senno
 modera le vittorie; egli...
 ARTASERSE
                                                Cotanto
 esalti in mia presenza un mio nemico?
 ORONTE
 Do lode al merto e men del vero io dico.
 ARTASERSE
235Parti.
 ORONTE
              Ubbidisco. (In traccia
 della donna infedele amor mi guida.
 O mia ritorni o di sua man mi uccida). (Parte)
 ARTASERSE
 Che risolvi mio core? Amar Aspasia,
 poiché vive il suo sposo ora è un delitto.
240Tanto non lice a un re;
 sì, sì; m’ispira il nume
 la salvezza d’Aspasia. A Febo io posso
 sacrar qual più m’aggrada
 feminile beltà; questa si scelga
245sacra ministra alla grand’ara e sia
 così dal ciel difeso
 l’onor d’Aspasia e la speranza mia.
 
    Anche il nocchier difende
 cauto gli acquisti suoi.
250Tra le tempeste poi
 getta i tesori in mar.
 
    Quella che il cor m’accende
 vaga beltà ti ceda,
 quando virtù il richieda,
255quando sia colpa amar.
 
 SCENA X
 
 Giardini pensili.
 
 ASPASIA, poi ORONTE
 
 ASPASIA
 Oh dei! Qual turbamento,
 il volto del mio cor!
 ORONTE
                                      Ecco l’infida.
 ASPASIA
 Con qual cuor, con qual volto
 devo accoglierti, o caro, o del cor mio
260e delizia e spavento?
 Tu vivi ed io ti veggo? Oh dei! Che gioia!
 Ti veggo in Artassata? Oh dei! Che pena!
 ORONTE
 A cui favelli, o principessa?
 ASPASIA
                                                    Eh caro,
 il mio Oronte sei tu, mel dicon gli occhi.
265E i risalti del cor mel dicon meglio.
 ORONTE
 Sì, son Oronte, infida;
 se te lo disse il cor co’ suoi risalti,
 dirti ancor ei dovea co’ suoi rimorsi
 che d’un amor sì forte
270è troppo grave offesa un tradimento.
 ASPASIA
 Io tradirti? Ah cor mio...
 Ascolta...
 ORONTE
                    Ingrata, vanne.
 Stendi, contaminata
 da tanta infedeltà la destra al nodo.
275Mi scoprirò qual sono,
 profanerò le soglie
 del talamo sleal; poscia alla morte
 stenderò vendicato il collo invitto;
 e sarà di quel cor perfido e rio
280un eterno rimorso il sangue mio. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 ASPASIA, poi DARIO
 
 ASPASIA
 Fermati... Oh dei! Né pur dirgli ho potuto
 ch’io lusingo Artaserse,
 perché di Dario egli mi tolga al nodo.
 DARIO
 Hai vinto, Aspasia, hai vinto. Il padre ingiusto
285per toglierti alla speme
 del tradito amor mio, ministra a Febo
 già ti destina.
 ASPASIA
                            Oh dei! Che sento?
 DARIO
                                                                 Invano
 ei pretende però ch’io d’amar lasci
 te, bell’idolo mio.
 ASPASIA
                                   Cangia favella
290con chi grado cangiò. D’umani affetti
 non si tenti il mio cor. Di già mi sento
 d’una incognita fiamma
 tutto accendermi il seno. Olà profano,
 più non ardir di rimirarm’in volto.
 DARIO
295Deh cangia anche il costume...
 ASPASIA
 Son ministra del nume, io non ti ascolto.
 
    D’amor più non parlarmi,
 ramenta chi son io.
 Gli affetti del cor mio
300co’ tuoi non profanar.
 
    Non lice a te d’amarmi
 ministra al dio di Delo.
 I fulmini del cielo
 apprendi a paventar.
 
 SCENA XII
 
 DARIO, poi ARIARATE
 
 DARIO
305E tale dunque io regno? Un vuoto nome
 di re, della corona il solo peso
 forman la mia grandezza?
 Regnisi e pera... Chi! Sì, sì, Artaserse.
 Un pensier di grandezza
310vinca del sangue mio l’arduo contrasto.
 Tace natura ove favella il fasto.
 Giugne Ariarate. A’ miei disegni ei serva;
 senz’esso perirebbe il mio pensiero.
 Ariarate.
 ARIARATE
                    Mio re.
 DARIO
                                    Pria che altro io dica
315giura su quanto ha di più grande il cielo
 di custodir geloso
 l’arcano ch’io ti svelo, onde sicuro
 sia di tua fede.
 ARIARATE
                              Agli alti numi il giuro.
 DARIO
 Or senti. Ambi perduti
320ci vuole Aspasia. È questi
 il prezzo, onde Artaserse
 dee mercar le sue nozze;
 s’ella concepe un figlio,
 il vuol senza rivali erede al regno.
325Destinata ei la finge
 ministra a Febo e intanto a noi destina
 ferro e velen che spegna
 i timori d’Aspasia.
 Siam perduti, Ariarate,
330se non previen la nostra spada un padre,
 carnefice de’ figli;
 ma il nostro cuor non ci abbandona ancora,
 viviam entrambi ed Artaserse mora.
 STATIRA
 Numi eterni che ascolto! (Sopra la parte pensile del giardino)
 ARIARATE
                                                Ah sire, io sento
335d’orror gelarmi entro le vene il sangue.
 Un bugiardo timor forse ti parla;
 e quando vero ancora
 fosse l’atro disegno in Artaserse,
 il nostro sangue è suo.
 STATIRA
                                           Bella virtude! (A parte)
 DARIO
340Tanta viltà? Ariarate,
 sovengati ch’io porto
 scettro in man, serto al crine e spada al fianco.
 Doppo averti svelato il grande arcano
 sopraviver non devi
345nemico al desir mio; scegli tua sorte,
 o l’amor del german o la tua morte.
 ARIARATE
 Un amor io rifiuto,
 il di cui prezzo è un parricidio. Io stendo
 il collo al colpo e intrepido l’attendo.
 DARIO
350Dunque, se di tua vita amor non senti,
 mori codardo. (Snuda la spada per uccider Ariarate)
 STATIRA
                              Ahimè. (A parte)
 
 SCENA XIII
 
 ARTASERSE e detti
 
 ARTASERSE
                                              Dario che tenti?
 DARIO
 Lascia, signor, che adempia
 del traditor su la cervice indegna
 un giusto sagrificio.
355Osò costui tentarmi
 di fellonia, sin sovra il sagro stame
 della tua vita ardisce
 stendere i rei disegni.
 Cercò, perché tu cada,
360l’aiuto di mio scettro e di mia spada.
 STATIRA
 Empio impostor! (A parte)
 ARTASERSE
                                    Fellon, tu parricida?
 Empio, questa è la fede
 che tu devi al tuo re? L’atroce mente
 il reo pensier formò?
 ARIARATE
                                         Son innocente.
 STATIRA
365Innocente (Scesa al basso) è Ariarate, o Artaserse;
 è Dario il reo; dell’attentato enorme
 la sorgente è il suo cor; ei trar volea
 il principe fedel nel suo misfatto.
 ARTASERSE
 Che sento!
 DARIO
                       O di nemica
370implacabile donna odio ingegnoso!
 Signor, da questa sfera
 uscì quel foco; Ariarate amante
 a Statira dovea qualche olocausto
 che placasse il suo sdegno.
375Il sedusse costei.
 STATIRA
                                  Ne menti, indegno.
 DARIO
 Già la mia fé...
 STATIRA
                              Che fede! Odi Artaserse,
 son tua nemica, è vero,
 ma i tradimenti aborre,
 benché giusto, il mio sdegno.
 ARTASERSE
                                                       In quali atroci
380pensieri ondeggia un cuor di re, di padre!
 Dario, Ariarate, in qual di voi degg’io
 punire il traditor, stringere il figlio!
 DARIO
 Ah signor, e tu puoi temer ancora
 un tradimento in me? Dell’empia donna
385saran sì fortunati
 gl’insidiosi accenti?
 Stelle! Un reo traditore
 giugneresti a temer di Dario il core?
 ARTASERSE
 Oh, Dario. (Dopo pensato alquanto)
 STATIRA
                        Or via punisci
390in Ariarate il tradimento; pronta
 ho già nel tuo dolor la mia vendetta.
 S’ei more, entro quel sangue
 avrà l’empio tuo cor rimorso eterno.
 S’ei vive, anche una volta
395tel ridico, Artaserse,
 innocente è Ariarate, è Dario il reo.
 Questo dubio tormenti
 sempre l’alma crudel; né il tuo consiglio
 sapia in qual d’essi mai
400o tema il traditore o stringa il figlio.
 
    Mira d’entrambi il ciglio.
 Di’ qual ti sembra ingrato;
 stringiti al seno un figlio
 ma nol soffrir spietato.
405Barbaro, pena e fremi,
 temi d’entrambi il cor.
 
    Godo del tuo tormento,
 perfido mostro e rio;
 e quasi più non sento
410il mio crudel dolor.
 
 SCENA XIV
 
 ARTASERSE, DARIO, ARIARATE
 
 ARTASERSE
 Fellon, il tuo delitto
 nell’odio feminil non si nasconde,
 io ti lascio una vita
 che adempia il tuo castigo.
415Sia carnefice tua la mia clemenza.
 ARIARATE
 Padre, dell’innocenza
 il candor non macchiai. Io giuro ai numi,
 lo giuro a te, mio re. Di Dario in faccia
 che più dirti poss’io? Padre clemente,
420abbi pietà di me; son innocente. (Si canta)
 
    Padre, se reo foss’io,
 vorrei morirti a’ piedi.
 Ah del mio cor non vedi
 tutta la fedeltà.
 
425   Lascia che il labro mio
 padre ti chiami ancora;
 un figlio che ti adora
 lagnarsi ancor non sa.
 
 SCENA XV
 
 ARTASERSE e DARIO
 
 ARTASERSE
 Dario, sei re. Con questa
430imagine sublime in fronte impressa
 io ti riguardo, quindi
 malgrado a ciò che in me parlan gli affetti,
 Ariarate incolpo
 e condanno di falsi i miei sospetti.
435Ma se mai nel tuo core
 reo tu fossi e se il cielo
 mi svelasse di te l’orrido arcano,
 pietà non isperar, sarò inumano. (Parte)
 DARIO
 Rimproveri noiosi
440di virtude plebea, lungi del seno.
 Segua che può. Si spegna
 nel padre ingelosito il mio periglio;
 giovi, per esser re, non esser figlio.
 
    Desio d’impero
445m’accende il petto,
 geloso affetto
 mi rende audace;
 mi giova e piace
 la crudeltà.
 
450   Doppio pensiero
 d’amor e sdegno,
 di sposa e regno
 m’ingombra il core,
 del genitore
455non ho pietà.
 
 Fine dell’atto primo